E se una mattina ti capitasse di risvegliarti a Camelot, addirittura nel
castello del leggendario Re Artù? È quanto succede incredibilmente al
protagonista di questa storia: catapultato dal XIX secolo nell’Inghilterra dei Cavalieri della
Tavola Rotonda, tra maghi e damigelle,
superstizioni e miseria, farà vedere di cosa è capace un vero americano,
affrontando le avventure più assurde e irresistibili con lo spirito pratico
e positivo di un cittadino moderno del Nuovo
Mondo.
Con questo romanzo Mark Twain ha scritto una delle più feroci e divertenti requisitorie contro l’arretratezza di quell’Europa che
chiamava spregiativamente yankee i cugini
d’Oltreoceano.
Mi accorgevo di essere proprio un nuovo Robinson Crusoe
gettato su di un’isola deserta, senza compagnia, all’infuori di
qualche animale più o meno domestico; e, se volevo rendere sopportabile la vita, dovevo
fare
precisamente come
aveva
fatto lui:
inventare,
escogitare,
creare,
riorganizzare le
cose;
mettere mani e cervello all’opera e tenerli occupati. Beh,
in
fondo, quello era il mio
genere.